Robot, amore, pace arriva l’età ibrida

La Stampa |

By Massimiliano Panarari

Nel futuro prossimo venturo non basteranno più QI e QE (il quoziente emozionale, che misura l’intelligenza emotiva), ma servirà sempre di più il QT (quoziente tecnologico). E alla geopolitica si affiancherà, come disciplina essenziale per capire chi dà le carte nel mondo, la geotecnologia.

Benvenuti nell’era ibrida, la più recente delle metamorfosi e reincarnazioni dell’Information Age. Parola di Parag e Ayesha Khanna che, nel loro nuovo libro (L’età ibrida. Il potere della tecnologia nella competizione globale, Codice, pp. 115, euro 11,90), raccontano cosa sta accadendo intorno a noi, rinvigorendo i fasti della futurologia e ripercorrendo le orme di una coppia famosa, quella dei coniugi Alvin e Heidi Toffler (che ora si dichiarano entusiasti proprio di questo volume).

Khanna è il prototipo dello studioso liquido, che trova la propria dimensione ideale nei think tank (l’ultimo che ha inventato e dirige è, giustappunto, l’Hybrid Reality Institute). E qui, insieme alla moglie (anch’essa, molto postmodernisticamente, consulente di vari decision-makers finanziari e politici), si fa assertore convinto di una sorta di neodeterminismo tecnologico – citando pure, non a caso, Marx ed Engels.

Nell’età ibrida, «nuova epoca sociotecnologica», la natura umana cessa di essere distinta dalla tecnologia, facendone prima una protesi irrinunciabile, come già avviene da tempo, per poi compenetrarsi con essa anche fisicamente e psicologicamente. Da un lato, il mix di ingegneria genetica, biologia sintetica, biomeccatronica, neuroscienze e scienze della vita e, dall’altro, le Ict (le tecnologie dell’informazione e della comunicazione) fanno sì che l’evoluzione del genere umano possa rivelarsi non soltanto casuale e accidentale, come verificatosi per millenni, ma coadiuvata (e orientata) dall’incessante progresso tecnologico. E, dalla coesistenza tra umanità e tecnologia (responsabile dei macro-trends degli anni Duemila, come il passaggio al multipolarismo e le manifestazioni collaborative e di sharing economy), si passa così a una vera e propria co-evoluzione umano-tecnologica.

La geopolitica – Parag Khanna, consulente di politica estera di Barack Obama, è considerato uno dei massimi specialisti in circolazione di relazioni internazionali – cede allora il passo alla geotecnologia. Che spiega la centralità delle città globali come New York, Dubai, Shanghai e Singapore (dove i Khanna si sono recentemente trasferiti), che stanno al centro dei maggiori flussi finanziari, commerciali, comunicativi e culturali del pianeta: ragion per cui a dettare le regole dell’età ibrida non saranno i «petro-Stati», ma quelli che i due autori hanno battezzato «info-Stati città-centrici». In questa visione, uno Stato può dunque rimanere un protagonista dinamico dei processi di globalizzazione se riesce a produrre innovazione tecnologica assai più che a dispiegare potenza militare. Ovvero, se ha la capacità di promuovere Technik, detta alla tedesca, come scrivono i due studiosi, rifacendosi a un intensissimo dibattito filosofico novecentesco; chiaramente, però, «rivisitata» e con un’anima, e quindi capace di tenere insieme il diritto quanto più largo possibile per i propri cittadini di accedere alle tecnologie e la diffusione di consapevolezza e di responsabilità nel loro uso.

L’altra spina dorsale dell’età ibrida consiste nel cosiddetto «generativismo», che sta già rivoluzionando i nostri ordinamenti sociali. Generativi sono il linguaggio e la Rete, e quei sistemi che consentono di connettere gli utenti, incentivando la loro creatività di produttori di valori e idee. Ecco perché l’età ibrida sarà, secondo i Khanna, il luogo della morte del pedigree, dove i saperi certificati dall’accademia faranno spazio alle competenze plurime (e flessibilissime) richieste dal mercato globalizzato, e risulterà imprescindibile il possesso di un elevato QT (che stima la conoscenza delle tecnologie non unicamente dal punto di vista del loro funzionamento in senso stretto, ma pure sotto il profilo sociopolitico e «umanistico»). E sarà la stagione del Sé digitale multiplo, delle valute virtuali che restituiranno potere ai consumatori indebolendo gli istituti bancari, dei sistemi sanitari che dalla cura degli individui passeranno al loro potenziamento e dei robot attori perfettamente integrati nella società.

Il libro è anche un interessantissimo excursus socioeconomico in mezzo ad alcune delle invenzioni e innovazioni che stanno mutando il volto della vita quotidiana del mondo avanzato, e che, verosimilmente, rappresenteranno altrettanti punti di non ritorno dei prossimi anni, da Google Glass alle stampanti 3D, dal dibattito sulla privacy dei fruitori dei social network alla lovotics (l’ambito di studi alla frontiera tra robotica, amore ed erotismo). Ma, soprattutto, costituisce il manifesto di una possibile, straordinaria Pax tecnologica per l’avvenire dell’umanità, l’esito per il quale tifa una delle coppie più glam del jet-set intellettuale globale. Sempre che le società complesse non si facciano prendere dall’ansia, non riuscendo più a venire a capo delle infinite variabili generate dagli apparati e dispositivi tecnologici. Una assai poco invidiabile nemesi, visto che sono stati inventati proprio per tenere sotto controllo l’atavica insicurezza del nostro essere umani, troppo umani…

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